Diventare globali
Introduzione all’episodio a cura di Guido Tarizzo, Partner e Founder di EIM Italia
Proseguiamo i nostri dialoghi sulla crescita.
In questa intervista, Michele Bruno – Managing Partner di EIM Group – e Alberto Gennarini – Founder e Managing Partner di Vitale & Co. e Senior Advisor di EIM – intervistati da Silvia Sgaravatti – giornalista e conduttrice tv di Class CNBC – affrontano il tema di come diventare veramente globali ed essere in grado di competere nei mercati internazionali.
In passato essere presenti a livello globale significava vendere in tanti paesi; in mercati non ancora saturi di prodotti, per un’azienda italiana bastava esportare e gestire in maniera efficace agenti, distributori, importatori. Questo significava molto spesso un’enorme frammentazione del fatturato, molta complessità da gestire per cifre di vendita in molti paesi spesso irrisorie. Le conseguenze di questo approccio peraltro sono visibili ancora oggi in molte aziende, in un caso recente ci siamo trovati di fronte a un’azienda che fattura poco meno di 200 milioni vendendo in 120 paesi!
Oggi questo non è più possibile, è necessario focalizzarsi.
Come afferma Michele Bruno in questa intervista, l’internazionalizzazione inizia a casa propria, inserendo nel Board e nel management team persone – manager italiani e non – che abbiano una significativa esperienza internazionale in quelle aree del mondo dove si rivolgono le priorità di crescita dell’azienda.
È possibile crescere organicamente all’estero? È meglio un’acquisizione o un progetto green field? A queste domande i nostri interlocutori rispondono citando degli esempi di successo che dimostrano come non esista una ricetta valida per tutte le situazioni ma che per prendere la decisione giusta vanno valutate la maturità del mercato in cui si vuole crescere, la presenza o meno di concorrenti diretti, le risorse a disposizione (non solo finanziarie), la complessità che l’azienda dovrà affrontare scegliendo una strada o l’altra.
Aziende come Campari o Interpump hanno fatto delle acquisizioni cross-border lo strumento fondamentale della propria crescita accelerata, mettendo in campo per conseguenza forti competenze di integrazione post-M&A; all’opposto, per aziende come Rana o Barilla il costruire propri stabilimenti negli Stati Uniti ha consentito loro non solo di vendere in quel paese ma di “essere americani” e di diventare a pieno titolo un market leader nel mercato locale. Anche qui, grazie a risorse dedicate, competenze di livello, apertura mentale e un forte e rigoroso approccio progettuale a queste iniziative.
Le due strade peraltro non si escludono a vicenda e rappresentano anzi per le aziende esperienze dalle quali trarre lezioni utili sia che si scelga l’M&A che la crescita organica attraverso un progetto green field.
L’importante, e torniamo al messaggio iniziale, è internazionalizzarsi partendo da casa propria, qui in Italia: troppo spesso vediamo ancora aziende italiane che realizzano per l’80% il proprio fatturato all’estero, metà del quale addirittura fuori dall’Europa, governate da Board e management team composti da italiani senza nessuna reale esperienza delle aree del mondo in cui si cresce veramente.