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Crisi di impresa: quando le aziende cominciano a soffrire

Se un’azienda entra in crisi il problema è da ricercare

(quasi sempre) al suo interno

Negare sempre, anche l’evidenza. Minimizzare le responsabilità di chi opera all’interno e amplificare l’impatto della rete esterna, per definizione più difficilmente verificabile. È questa la reazione più frequente delle aziende quando improvvisamente interviene una fase critica.

Si tratta di un atteggiamento senz’altro comprensibile, ma non utile all’individuazione dei problemi reali e, soprattutto, alla definizione delle strategie per affrontarli e sperabilmente risolverli.

Si fa spesso riferimento a crisi congiunturali a livello globale, a settori che perdono rapidamente competitività rispetto al passato o all’insorgere di eventi straordinari. La pandemia è stato un formidabile alibi per moltissime realtà già in sofferenza e che hanno cercato, con fortune alterne, di mascherare i loro guai.

I problemi sono in realtà quasi sempre di natura endogena: il contesto generale può certo esasperarli e aggravarli fino alle estreme conseguenze, ma la genesi della crisi di impresa è un processo interno dell’azienda, quasi sempre riconducibile a una serie di condotte e di prassi ben riconoscibili e nettamente sbagliate.

I sintomi dell’azienda in crisi. Quando deve scattare l’allarme?

Esistono indicatori in grado di mettere le aziende in allerta e correre immediatamente ai ripari. L’esplosione del debito e l’incapacità di generare cassa sono i fattori chiave della crisi, gli elementi che devono innescare una reazione decisa e virtuosa.

Quando un’azienda è in crisi, si avvia verso una fase critica nel momento in  cui avverte la necessità di aumentare il suo debito perché la cassa non garantisce più le entrate necessarie. Le banche, per tutelarsi, iniziano a ridurre le linee finanziarie e a chiedere i primi rientri; i termini di pagamento dei fornitori cominciano ad allungarsi oltre il normale e l’amministrazione dell’azienda tenta di sfruttarli, talvolta addirittura utilizzando i fornitori quasi fossero loro stessi degli istituti di credito.

Tutti questi sono sintomi evidenti di un problema che non può essere più nascosto come la polvere sotto il tappeto: la gestione della crisi aziendale va affrontata in maniera organica e sistemica, attraverso una fase di ristrutturazione che cambi le regole adottate in precedenza.

Ma prima che l’opera di risanamento aziendale abbia inizio, è bene comprendere quali sono le fattispecie paradigmatiche che hanno scatenato la crisi e messo l’azienda in difficoltà.

Crisi di crescita aziendale: le fattispecie paradigmatiche

Quando l’azienda cresce troppo in fretta

A volte la strategia di crescita è troppo accelerata, per cui vengono consumate risorse finanziarie oltre la disponibilità: gli incrementi perseguiti sono rivolti al fatturato, senza che margine e redditività siano adeguatamente valutati. In questi casi, a un rapido balzo positivo può conseguire una repentina caduta, ben più fragorosa.

Se i piani di acquisizione sono faraonici

Nella nostra storia recente sono diversi i casi in cui le aziende hanno attuato piani faraonici di acquisizione, magari all’estero, a cui è seguita una scarsa integrazione tra le aziende acquisite che non ha portato le sinergie attese e necessarie a massimizzare il beneficio economico.

È il caso, tra gli altri, del Gruppo Ferruzzi-Montedison e della Parmalat di Calisto Tanzi, i cui crolli sono oggi casi di studio per comprendere le dinamiche delle grandi crisi aziendali.

Dalla celebrazione allo sperpero delle risorse

Non è infrequente che società imprenditoriali vivano una storia aziendale di successo, resa successivamente del tutto vana dalla perdita graduale della focalizzazione sui risultati a causa di una eccessiva celebrazione dei trionfi.

In una logica pericolosamente autoreferenziale, l’azienda in questi casi non domina più il contesto nel quale opera, ma può anzi farsi influenzare negativamente dal cattivo esempio della proprietà o del management, con ricadute tangibili come la riduzione degli ordini e lo sperpero delle risorse.

Se non ci si accorge di un nuovo competitor

Può accadere anche che un’impresa troppo rivolta al proprio interno e concentrata su specifici problemi aziendali non si renda conto dell’irruzione sul mercato di un nuovo competitor: in un caso come questo il successo stesso dell’azienda è un ostacolo enorme, che le impedisce la visione del cambiamento di scenario competitivo in atto. Di conseguenza l’azienda e il management non sono in grado di prendere le decisioni e i rischi necessari per affrontare la nuova situazione.

Il risultato, di solito, è che l’azienda si muove con grave ritardo e spesso in affanno, quando ormai lo scenario di riferimento è cambiato e recuperare il terreno perduto non è più possibile.

Che fare, allora? Decidere di voltare pagina e affidarsi a un esperto

Chi si occupa della crisi d’impresa? È necessario capire bene quando sia il momento in cui entrare in “crisis mode”, cioè in una fase di riorganizzazione in cui le logiche precedenti e consolidate non sono più applicabili, mentre invece si rende  necessario ricorrere a nuovi paradigmi e fissare nuovi riferimenti per tutta la struttura.

Come gestire un’azienda in crisi? Quando si entra nella logica del turnaround, le parole d’ordine da tenere sempre a mente sono velocità, operatività, credibilità, focalizzazione e frugalità.

A gestire questa nuova fase dell’impresa “ufficialmente” in crisi deve necessariamente essere un esperto, non c’è spazio per improvvisazioni, tentativi, tantomeno errori. La soluzione risiede nell’introduzione di un elemento esterno, del tutto avulso dal pregresso aziendale e con una solida preparazione nel project management, un professionista a progetto con un mandato di (tipicamente) 18 mesi, il Chief Restructuring Officer (CRO). 

Selezionato dai Partner EIM Italia in base all’esperienza acquisita nel corso della carriera, alla credibilità e, perchè no, alla sua capacità di entrare rapidamente in un rapporto empatico con il resto dell’azienda, questo Interim Manager, beneficierà fin da subito dell’approccio metodologico e del supporto messogli a disposizione da EIM. Le doti di leadership operativa gli consentiranno di delineare ed attuare un percorso che, analizzando i processi aziendali e le problematiche a questi sottese, condurrà alla necessaria discontinuità rispetto alla gestione precedente.

Nell’ambito della strategia condivisa e sviluppata con EIM, il CRO sarà quindi nelle condizioni di ripartire da zero, delineare le linee portanti della nuova governance e guidare il cambiamento nella direzione del risanamento, dell’individuazione di nuove prospettive di crescita in una logica competitiva, di uscita definitiva dall’azienda dall’area di crisi.

 

Ricominciare a crescere

Se il CRO opera correttamente e l’azienda in difficoltà lo segue, al termine del processo di trasformazione aziendale ci si troverà di fronte a una realtà diversa: nelle persone, nei processi, nell’offerta dei prodotti, nella cultura e nel modo di lavorare.

Sarà finalmente possibile a quel punto ricominciare a crescere, nel solco di quel piano industriale che, approvato dai creditori, deve rappresentare il faro e la guida per tirare fuori definitivamente l’azienda dalle secche della malagestione.

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