Trasformazione aziendale: dal “project management” al “realization management”
Il passaggio dall’economia della stabilità
all’economia della flessibilità
Negli ultimi trent’anni le imprese hanno dovuto affrontare il passaggio dall’economia della stabilità a quella della flessibilità: la globalizzazione degli scambi, la concorrenza mondiale sempre più agguerrita, la riduzione del ciclo di vita dei prodotti, i processi di concentrazione e delocalizzazione hanno modificato i paradigmi dell’organizzazione aziendale.
Il cambiamento aziendale non va più considerato un evento eccezionale, ma un qualcosa di inevitabile: bisogna saper cambiare per assicurare all’impresa sopravvivenza e successo nel tempo. Ma occorre anche essere veloci nel farlo: l’accelerazione in un mondo che cambia rapidamente è fondamentale.
La grande differenza tra il passato e la situazione attuale è legata ai mercati: prima erano più circoscritti e trascinavano l’economia, che cresceva per inerzia. Oggi sono diventati globali, sempre meno prevedibili, iper-competitivi, molto più esigenti.
I limiti dei modelli standard
In alcuni settori, come nel caso della realizzazione di macchinari o di grandi manufatti, si lavora ancora su commessa, con l’imperativo strategico di organizzare i propri processi e le proprie funzioni in una logica progettuale. In questi casi disporre di una infrastruttura organizzativa, delle competenze e degli strumenti giusti nelle persone che partecipano ai progetti significa essere sicuri di raggiungere i target aziendali e commerciali con la migliore efficienza e il contenimento dei rischi, delle risorse e dei costi complessivi.
Nella maggioranza dei casi, invece, prevalgono ormai i modelli ibridi, organizzazioni composite, strutturalmente funzionali, che creano uno speciale gruppo di progetto per gestire un cambiamento critico – che può includere risorse provenienti da diversi reparti funzionali – e che sviluppano procedure operative dedicate, potendo agire anche al di fuori della struttura ufficiale di governo e controllo.
Oggi questo modello, basato ancora sulla logica delle funzioni “silos” e dei processi gestionali tradizionali di planning, budgeting, job defining, staffing, measuring e problem solving, che pure ha prodotto importanti risultati nelle decadi scorse, non favorisce più l’accelerazione dei cambiamenti necessari.
Un occhio ai numeri
I programmi di trasformazione nel 70% dei casi sono incompiuti o raggiungono risultati ampiamente sotto le attese, mentre due progetti su tre falliscono. Le cause di questi insuccessi si imputano alla mancanza di governance, alla carenza nella comunicazione, all’approssimazione dei requisiti e dei target, all’inadeguatezza delle risorse e alla lontananza degli stakeholder.
Le gerarchie e i processi manageriali standard, anche quando sono meno burocratici, creano naturalmente barriere di comunicazione, hanno limiti di esecuzione e sono intrinsecamente avversi al cambiamento e alla trasformazione aziendale.
Le persone evitano di prendersi rischi senza il permesso dei superiori, si aggrappano alle loro abitudini e temono la perdita di potere e status, amano la stabilità e preferiscono continuare a fare ciò che già sanno fare.
Quali pratiche aggiungere ai modelli tradizionali?
I modelli organizzativi funzionali e ibridi sono assolutamente indispensabili e ancora attuali per il funzionamento ordinario delle aziende.
Non esistono altri modelli organizzativi altrettanto efficienti, se non quelli basati sulle gerarchie, le divisioni delle attività per specialità e processi, e le procedure codificate. In un contesto di crescente varietà e complessità dei progetti di trasformazione, però, occorre sempre di più favorire:
- una mobilitazione maggiore di risorse chiave per guidare e realizzare i cambiamenti aziendali;
- una leadership più collettiva e diffusa, non concentrata in poche risorse capaci, ma distribuita tra diversi attori dell’organizzazione, anche ai livelli di base e di management intermedio;
- un approccio ai cambiamenti continuativo e non episodico;
- un processo parallelo alla gestione “tecnica” dei progetti e articolato su visione, fiducia, motivazione, coesione, coraggio, azione e celebrazione.
Un approccio esteso e interconnesso
Le organizzazioni si stanno trasformando naturalmente in un terreno nel quale la persona, inserita in una rete di relazioni, opera sulla base della ricerca di un valore aggiunto comune, piuttosto che a mansioni limitate e titoli assegnati in modo verticistico o burocratico.
È fondamentale dunque avere un approccio esteso e interconnesso, mettendo in relazione tra loro persone, strategie, organizzazioni, processi e risorse.
Oggi le aziende si muovono all’interno di una rete di valore, per cui il cambiamento non si limita solo all’azienda in senso stretto ma può riguardare i diversi attori del sistema-rete allargato, coinvolgendo in modo collaborativo i fornitori, i clienti, i partner strategici ed eventualmente anche i concorrenti.
Dalla scienza del management all’arte del cambiamento
Per gestire il cambiamento occorre più leadership aziendale e meno management.
Per eseguire e controllare bene un progetto complesso è un prerequisito fondamentale disporre di tool e capacità di pianificazione, project charter, budget, work breakdown structure, gantt, saper analizzare i percorsi critici, utilizzare tecniche agili o di design thinking, scegliere project manager preparati, approntare dispositivi di misurazione, controllo e reporting, ma la realizzazione della trasformazione aziendale supera necessariamente questa dimensione tecnico-metodologica per affrontare concretamente cosa occorre fare per accelerare, per essere certi del risultato ed evitare di fallire.
Passare, quindi, a una dimensione legata alla leadership e alla qualità delle persone che gestiscono le aziende e i progetti, ad aspetti motivazionali e comportamentali, e non soltanto alle tecniche per realizzarle. In questo ambito sono le persone e l’esperienza a fare la differenza.
Più che di “project management”, si deve parlare di “realization management”: suggerire come connettere la strategia ai risultati, guidando le trasformazioni verso nuovi modelli, nuovi metodi e nuovi strumenti di lavoro in modo efficace, sostenibile e duraturo nel tempo.
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