Cosa succede quando all’imprenditore subentra un fondo di private equity?
Un nuovo scenario per le aziende e i fondi di investimento italiani
Oggi in Italia sono oltre 1.200 le aziende partecipate da fondi di private equity e venture capital. Tra queste figurano diverse imprese finanziate da venture capital con partecipazioni di minoranza, nelle quali non cambia sostanzialmente la compagine imprenditoriale esistente. Molte sono invece le operazioni di maggioranza, condotte da fondi di media dimensione, che incidono profondamente sull’organizzazione, sul management e sull’identità stessa dell’azienda.
Spesso tali operazioni avvengono per mano di un manager che, verificato il possibile interesse da parte dell’imprenditore, propone l’azienda al fondo o, al contrario, su iniziativa diretta del fondo, identifica un manager del quale avvalersi.
Si apre uno scenario nuovo per tutti: per l’imprenditore, per il nuovo investitore e anche per lo stesso manager, che dovrà gestire un’operazione del tutto particolare.
Perché aprire l’ingresso ai fondi di private equity
Aprire il capitale a un fondo rappresenta un passo strategico, ma talvolta anche difficile da assorbire per l’imprenditore. Occorre però considerare che si tratta di una scelta che in molti casi può generare valore e portare a un livello di competitività altrimenti irraggiungibile. I fattori trainanti sono molteplici.
Avere tra gli azionisiti un fondo di private equity determina per l’azienda una crescita reputazionale, una “certificazione di qualità”, perché mette in evidenza i suoi elementi distintivi – valore, competitività, posizionamento sul mercato – sui quali gli investitori hanno deciso di puntare.
Con l’ingresso dei fondi, inoltre, può verificarsi un forte incremento in termini di nuove relazioni e nuove competenze, con la moltiplicazione delle opportunità di sviluppo e una rinnovata capacità di indirizzare l’innovazione.
Con il suo arrivo, poi, il private equity porta energia finanziaria attraverso la creazione delle pre-condizioni per effettuare investimenti e acquisizioni, con un’influenza positiva sulla percezione di rischio da parte degli istituti di credito e con la conseguente riduzione del costo del capitale.
Una serie di benefici ai quali l’azienda ha l’opportunità di accedere a condizione che, prima dell’ingresso del fondo, abbia già condotto, o almeno pianificato, i cambiamenti preliminari necessari da un punto di vista manageriale, di rinnovamento della governance interna e societaria e di ammodernamento dei processi di gestione e controllo.
Imprenditore e fondo: una convivenza possibile?
Anche in caso di operazioni di maggioranza non è inconsueto che l’imprenditore decida di rimanere in azienda: in questi casi, l’esperienza insegna che le difficoltà di solito aumentano e con loro il rischio di insuccesso perché è più complicato creare il necessario distacco dell’azienda dall’impronta personale dell’imprenditore e intraprendere il percorso di managerializzazione.
Fondamentale è che gli obiettivi – sia del fondo sia dell’imprenditore – siano chiari e allineati fin da subito: talvolta l’imprenditore desidera solo liberarsi di un socio scomodo e non ha un obiettivo di reale creazione di valore, in altri casi i fondi sono mossi da puro spirito finanziario e non tengono in alcun conto del piano di management.
La probabilità che il manager resti schiacciato tra questi interessi contrastanti aumenta e l’intera operazione rischia di arrecare gravi danni all’azienda. Per questo, deve essere individuato il giusto equilibrio tra atteggiamento interventistico e rispetto dei ruoli.
La posizione preferibile per il fondo, nella maggior parte dei casi, è quella di essere un “active owner”, non un “active manager”. Sostituirsi al management è in genere penalizzante per il fondo, anche se può diventare, in casi estremi, una scelta obbligata quando dall’altra parte si trovano manager autarchici e poco – o per nulla – trasparenti.
La revisione del piano di management
Un’altra possibile criticità nelle fasi pre-deal è legata alla revisione del piano di management. Non sempre viene portata a termine un’analisi di coerenza che verifichi e accerti che i manager in organico, inseriti nel setting organizzativo corrente e con in dotazione uno specifico set di sistemi, siano o meno in grado di raggiungere gli obiettivi inseriti nel business plan e soddisfare i requisiti informativi del fondo di private equity e della gestione.
È importante esaminare con attenzione la capacità dell’azienda di produrre le informazioni per il monitoraggio dell’investimento che saranno richieste dal fondo, e prevedere investimenti di adeguamento di processi, sistemi e persone.
Per prevenire possibili problemi è utilissimo, inoltre, svolgere un’analisi prospettica su tutto quello che servirà successivamente e verificare se il manager in carica abbia le capacità e le risorse per realizzare quanto previsto nel business plan. In questo modo possono essere evitati errori all’origine, forieri di difficoltà gestionali o, addirittura, in grado di decretare l’insuccesso dell’operazione.
La sfida del manager: gestire l’azienda e creare valore
Il manager non è chiamato solo a gestire l’azienda: deve essere estremamente focalizzato sulla creazione di valore nel tempo definito dal fondo, la cui la mission è quella di moltiplicare il denaro investito in un arco temporale limitato.
Nelle operazioni gestite dai fondi, il controllo della cassa è centrale e il lavoro del manager deve ruotare attorno a questo elemento: deve avere cioè la capacità di prendere delle decisioni che nel breve termine abbiano un impatto misurabile sulla cassa, tenendo al tempo stesso sotto controllo gli indicatori reddituali e patrimoniali.
Non sempre i manager della gestione precedente sono destinati ad essere sostituiti. L’approccio deve essere graduale ovvero vanno verificate le origini delle performance meno soddisfacenti e, se queste dipendono dall’operato dei manager, si valuta la loro potenzialità di crescita. Si definisce quindi un programma di upgrade di metodo, di competenze e di processi con i manager in carica, attraverso un affiancamento con manager esperti per un determinato periodo di tempo, rilevando temporaneamente alcune loro deleghe, per poi restituirle a fine mandato.
La logica di fondo è quella del rafforzamento del team, senza ricorrere a nuovi inserimenti in organico. Portando una somma di elementi – fatta di capacità di lavoro, know how, esperienza e competenza – è quasi sempre possibile affiancare i manager già presenti e sviluppare insieme a loro soluzioni risolutive.
Alla ricerca di un equilibrio che porti vantaggi a tutti
Alcuni investment manager dei fondi di private equity si riservano la possibilità di “inserirsi”, in ogni momento, in ciò che viene gestito dal management. Se ciò da un lato può portare ad una percezione di pressione costante da parte del fondo, dall’altro lato garantisce un’accelerazione nei processi decisionali perché la sua compresenza consente di ottenere rapidamente risposte a qualsiasi esigenza concreta.
Il manager deve mostrare autonomia, motivazione ed elasticità: potrà così operare a vantaggio del fondo di private equity e, nello stesso tempo, decretare il successo dell’imprenditore e dell’intera operazione.
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